Nel corso della notte di oggi, martedì 17 novembre 2020, dall’Istituto Aloisianum di Gallarate, dove da tempo risiedeva, il p. Diego Brunello SJ, uomo grande e giusto, è tornato alla casa del Padre.
Quando il nostro cuore ci sembra già colmo di dolore, e che non vi sia posto per altro, ecco che un nuovo dolore trova spazio, si aggiunge al precedente, ed espande i limiti che pensavamo già saturi del nostro sentire: allarga il nostro cuore, e ci fa capire, a suo modo, che la nostra capacità di provare amore è più grande, infinitamente più grande, di quello che pensavamo…
Ed è questo l’ennesimo dono che la vita di p. Brunello, consacrata al servizio, ci offre.
Di lui – che tanto bene fece al nostro Leone nei molti anni in cui, a più riprese, vi abitò – vogliamo ricordare anzitutto una qualità che contraddistingueva la sua persona, una sua intonazione peculiare. È una qualità difficile a spiegarsi, specie in questo momento in cui il dolore per la sua perdita – e per quelle troppo recenti di p. Uberto Ceroni, di p. Antonio Bressan, di p. Giulio Besana – ottunde le nostre facoltà fisiche e mentali.
È una qualità propriamente cristiana, ed è una qualità particolarmente cara al pensiero e al carisma ignaziano. Facendoci aiutare dalle parole del cardinal Carlo Maria Martini – che il p. Diego Brunello conosceva personalmente e che spesso citava – potremmo cominciare col dire che essa è “quella capacità di vedere la realtà e oltre, capacità di vedere oltre i destini visibili delle persone … la Croce e la Resurrezione ci consentono di conservare nelle nostre visuali quella elasticità intellettuale ed emotiva che ci fanno affrontare le situazioni difficili con respiro, con coraggio”.
Ecco, quando ripensiamo a p. Brunello pensiamo a questo suo sguardo “oltre”, come fosse sempre di qualche metro più avanti all’oggetto o al soggetto che gli era in quel momento presente, come se il suo sguardo fosse rivolto – contemplato e contemplante, contenuto – entro un orizzonte più ampio, di cui lui sapeva “sentire”, prima ancora che scorgere, la portata e la vastità.
Una missione investiva la sua vita, un obiettivo più grande del suo stesso essere qui ed ora: davvero l’operato di p. Diego Brunello nel corso di 90 anni di vita – e di cui ben 74 al servizio nella Compagnia di Gesù – è stato nel suo significato più vero e profondo “per la maggior gloria di Dio”: “A.M.D.G.”, come veniva contrassegnato sulla maggior parte dei libri – i suoi amati libri – editi dai Gesuiti.
Il suo stesso dinamismo, la sua operosità alacre ce lo faceva sempre trovare un passo davanti a noi, sempre un pochino oltre. Al tempo stesso però mai distante, sempre compagno di viaggio, sempre insieme.
Questa visione più grande che lo abitava e lo animava si declinava infatti in lui secondo due direttrici congiunte. Da una parte una calma e una serenità di fondo – magicamente sempre mescolata in lui al suo estremo dinamismo: mai fermo, sempre al lavoro, sempre intento a fare qualcosa. Una serenità che ti investiva e ti faceva sentire che tutto andava bene, che tutto stava andando nella giusta direzione, anche nei momenti più duri o difficili. «Uno dei passi evangelici che il cardinale Carlo Maria Martini commentava volentieri era Luca 12, 32: “Non temere, piccolo gregge”. Certo siamo, ora più che mai, piccolo gregge, ma il Signore ripete anche a noi: “Non temete”» – così p. Brunello nel 2016 salutava la Comunità di San Giorgio in Bergamo, annunciando il ritiro dei gesuiti dalla Diocesi orobica.
Dall’altra parte, da questa sua visione scaturiva una immediatezza nei rapporti umani, una schiettezza genuina e fraterna, una solidarietà senza filtri, “naturale”, che ti faceva sentire fin da subito accolto, capito, complice anzi, che ti faceva sentire pellegrino alla pari nel viaggio meraviglioso che è la vita. Ti faceva sentire “sulla stessa barca”, riprendendo il noto passo di Papa Francesco. Una libertà nell’animo – che aveva il suo fuoco in un centro più grande – che gli faceva affrontare con generosità e magnanimità le cose umane.
Amava i libri – di cui si è occupato per oltre trent’anni, salvaguardando i fondi librari delle varie case dei Gesuiti che via via, a seguito del calo delle vocazioni che segna la nostra epoca contemporanea, si trovavano a chiudere. Li andava a recuperare: Modena, Torino, Genova, Reggio, Padova, Bergamo… Nel Veneto ed in Emilia, in Piemonte e in Liguria. Migliaia di kilometri e migliaia e ancora migliaia di libri preziosi o significativi che salvava dalla dispersione, imballandoli con cura, dando loro nuova collocazione. Oggi si trovano ordinati nella nuova e grande Biblioteca dell’Istituto Aloisianum di Gallarate, sua creazione, a cui ha dedicato gli ultimi anni della sua vita, dopo aver raccolto e ordinato anche l’imponente Archivio della ex-Provincia Veneto-Milanese della Compagnia di Gesù.
Anche in questo era tipicamente un gesuita: era un uomo che viveva con i libri e, in un certo senso, per i libri, arrivando ad offrire loro la sua stessa vita. Ma da buon gesuita, il suo non era mai un approccio feticista: per lui il libro era il coagulo di un pensiero, meglio, di una persona, e all’oggetto anteponeva sempre il suo autore, uomini in carne ossa di cui ricostruiva storia e pensiero. E nei libri vedeva sempre uno strumento per altri uomini, per le persone, in una catena umana solidale e volta al bene che, pur all’interno di interruzioni o “buchi di collocazione”, non poteva finire…
Le sue origini venete forse, contadine e concrete, gli facevano apprezzare anche i lavori più faticosi: scatoloni pesanti di tomi e carte che lui maneggiava con cura e intensità ogni giorno, destando così l’ammirazione di p. Giulio Besana: “È forte come un toro”, diceva, mentre lo vedeva al lavoro.
Ma fu, e molto, anche uomo di grande studio: storico appassionato e puntuale, ricostruiva con perizia e competenza le vite e la bibliografia dei tanti padri della ex provincia Lombardo-Veneta della Compagnia di Gesù di cui costudiva i lasciti, mettendosi al servizio di studiosi e professori, scovando per loro testi e materiali inediti, scrivendo lui stesso testi che rimarranno preziosi anche negli anni a venire. A nessuno negava un aiuto, e pur tra i mille impegni che costellavano la sua giornata, trovava sempre il modo per soddisfare una richiesta.
In tutto ciò trovò sempre il modo di occuparsi con zelo e sensibilità della cura pastorale e del ministero sacerdotale. Ricordiamo il suo prezioso servizio per tanti anni alla guida del Centro Religioso dell’Istituto Leone XIII, ma anche il suo prestarsi ogni estate alla cura pastorale della comunità religiosa di Taino, in provincia di Varese, come pure la guida che ebbe ad assumere della Parrocchia di S. Giorgio in Bergamo in un momento delicato della sua storia.
Uomo di mani e di testa, uomo di fede, uomo di cuore: umile e competente, santificava ogni giornata con un lavoro vigoroso e preciso. E un sorriso sereno e fraterno illuminava sempre il suo volto.
Ciao p. Brunello, ti pensiamo adesso con il tuo sorriso accogliente, con il tuo sguardo fraterno rivolto a protezione su di noi tutti, mentre sorridi e sistemi qualche scatolone, trovi qualche carta preziosa e scrivi qualche saggio lassù, nella grande Biblioteca e nel grande Archivio del Cielo.