Questa mattina, nell’Auditorium dell’Istituto, si è tenuto l’incontro con il giornalista e telecronista della RAI 𝗦𝘁𝗲𝗳𝗮𝗻𝗼 𝗕𝗶𝘇𝘇𝗼𝘁𝘁𝗼, che ha parlato ai ragazzi dei Licei del mestiere del 𝗴𝗶𝗼𝗿𝗻𝗮𝗹𝗶𝘀𝘁𝗮 𝘀𝗽𝗼𝗿𝘁𝗶𝘃𝗼, partendo dalla sua personale esperienza fino alle tecniche seguite da lui e dai sui colleghi per la preparazione delle telecronache. Grazie anche ai moderatori della mattinata, i professori leoniani 𝗧𝗲𝗿𝗲𝘀𝗮 𝗩𝗲𝗿𝗱𝗶 e 𝗙𝗲𝗱𝗲𝗿𝗶𝗰𝗼 𝗔𝘁𝘇𝗲𝗶, l’incontro si è aperto ad una riflessione a 360 gradi su come sia cambiato negli anni il mestiere del giornalista e, ancora, su come lo sport riesca ad incidere sulla società, anche cambiandola. Bizzotto ha dato grande risalto, durante i suoi interventi, anche al 𝗿𝗮𝗽𝗽𝗼𝗿𝘁𝗼 𝗳𝗿𝗮 𝗹𝗮 𝘀𝘂𝗮 𝘁𝗲𝗿𝗿𝗮 (l’Alto Adige e, in particolar modo la sua città, Bolzano) 𝗲 𝗶𝗹 𝘀𝘂𝗼 𝗹𝗮𝘃𝗼𝗿𝗼, e di come la sua passione per una disciplina in particolare, quella dei tuffi, non abbia fatto altro che rafforzare questa connessione, dati anche i grandi risultati della scuola bolzanina nelle competizioni internazionali.
Durante il suo intervento, Stefano Bizzotto ha voluto stimolare in più occasioni gli studenti presenti, sottolineando a più riprese 𝗹’𝗶𝗺𝗽𝗼𝗿𝘁𝗮𝗻𝘇𝗮, 𝗽𝗲𝗿 𝘂𝗻 𝗴𝗶𝗼𝗿𝗻𝗮𝗹𝗶𝘀𝘁𝗮, 𝗱𝗶 𝗲𝘀𝘀𝗲𝗿𝗲 𝗰𝗼𝗻𝘀𝗮𝗽𝗲𝘃𝗼𝗹𝗶 𝗱𝗲𝗹𝗹𝗼 𝘀𝗽𝗮𝘇𝗶𝗼 𝗲 𝗱𝗲𝗹 𝘁𝗲𝗺𝗽𝗼 𝗶𝗻 𝗰𝘂𝗶 𝘃𝗶𝘃𝗶𝗮𝗺𝗼, contemplando sempre il dubbio come opportunità da cogliere per poter programmare il proprio futuro e riflettere su ciò che ci sta attorno.
“Da quel che mi ricordo sono sempre stato un grande amante del calcio, ma, da ragazzo, quando raggiunsi la consapevolezza che non avrei avuto di fronte a me una grande carriera da giocatore, decisi di intraprendere quella di giornalista sportivo. 45 anni fa si poteva già cominciare a prendere questa strada semplicemente bussando alla porta delle piccole testate locali, rendendosi disponibili anche per le cronache minori. Cominciai quindi a girare le palestre, i circuiti ciclistici, i campi da calcio impolverati dove venivano giocate partite improbabili. Finito il liceo, con una discreta dose di fortuna, venni assunto come praticante. In quel momento accantonai momentaneamente le discipline sportive: spaziavo dalla cronaca nera a quella bianca, da quella giudiziaria a quelle comunali.
Nel frattempo, però, iniziai anche a collaborare con La Gazzetta dello Sport: all’inizio anni ‘80, quando internet non era ancora aperto ad un vasto pubblico internazionale e non vi erano né cellulari né tv satellitari, sfruttai un’occasione a mio vantaggio: la posizione di Bolzano. In quanto “terra di confine”, nelle edicole vendevano quotidiani e periodici in tedesco e riuscivamo a prendere il segnale delle televisioni austriache e della Germania Ovest. All’epoca era davvero un grande vantaggio averli la mattina stessa freschi di stampa, quindi mi proposi per collaborare con la Gazzetta sul calcio tedesco. Un giorno, l’allora mitico direttore Candido Cannavò, mi chiamò e mi disse di venire a Milano per parlare di una mia possibile assunzione da parte della testata. A Milano lavorai per 6 anni come redattore, ma la nostalgia di casa, acuitasi soprattutto dalla differenza di dimensioni fra una città di centomila abitanti ed una da un milione e mezzo, mi spinse a fare richiesta per la sezione RAI di Bolzano. Passai quindi alla RAI e, man mano che si liberavano degli spazi, subentrai come cronista sportivo. 𝗖’𝗲̀ 𝗱𝗮 𝗮𝗺𝗺𝗲𝘁𝘁𝗲𝗿𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝗶𝗹 𝗹𝗮𝘃𝗼𝗿𝗼 𝗱𝗲𝗹 𝗴𝗶𝗼𝗿𝗻𝗮𝗹𝗶𝘀𝘁𝗮 𝗲̀ 𝗰𝗮𝗺𝗯𝗶𝗮𝘁𝗼 𝗺𝗼𝗹𝘁𝗼 𝗻𝗲𝗹 𝘁𝗲𝗺𝗽𝗼, 𝘀𝗶𝗮 𝗽𝗲𝗿 𝗾𝘂𝗮𝗻𝘁𝗼 𝗿𝗶𝗴𝘂𝗮𝗿𝗱𝗮 𝗶 𝗺𝗲𝘇𝘇𝗶 𝗱𝗶 𝗱𝗶𝗳𝗳𝘂𝘀𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹’𝗶𝗻𝗳𝗼𝗿𝗺𝗮𝘇𝗶𝗼𝗻𝗲 𝗰𝗵𝗲 𝗻𝗲𝗶 𝗿𝗮𝗽𝗽𝗼𝗿𝘁𝗶 𝗰𝗼𝗻 𝗴𝗹𝗶 𝗶𝗻𝘁𝗲𝗿𝘃𝗶𝘀𝘁𝗮𝘁𝗶.
Io cominciai che era l’alba dei computer ma tutto il resto degli strumenti che abbiamo oggi non esistevano; si lavorava molto di carta e penna, al punto che io nei primi anni del mio lavoro riuscii a mettere su un archivio cartaceo spaventoso: lasciavo discrete somme di denaro per acquistare tutti i periodici e i quotidiani di argomento sportivo sia in italiano che in tedesco e, nel mentre, organizzavo in buste le carte con tutte le informazioni utili relativi ai giocatori, alle squadre, agli eventi ecc. Oggi l’archivio cartaceo, di fatto, lo trascuro: è una componente minima del mio lavoro, perché, chiaramente, usufruisco delle nuove tecnologie pe il mio lavoro, anche se giusto il necessario.
Per quanto riguarda il come i rapporti con gli interlocutori siano cambiati dico solo questo: Gianni Mura, che ebbi la fortuna di conoscere durante la sua permanenza alla Gazzetta, mi raccontò che ogni volta che si recava a Milanello, a fine allenamento, per chiedere a Rivera un’intervista telefonica per le quattro del pomeriggio, alzava quattro dita della mano e gli faceva il gesto del telefono. Una cosa così non la si non può più fare: per fare un’intervista devi passare attraverso gli uffici stampa e gli sponsor. In televisione piazzano sempre dietro l’intervistato un pannello con tutti gli sponsor. Un’intervista andrebbe fatta libera da questi vincoli, ma questo è il prezzo da pagare ai tempi che cambiano.”





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