Alla fine, “Wieviel Stücke?”, domandò il maresciallo; e il caporale salutò di scatto, e rispose che
i “pezzi” erano seicentocinquanta, e che tutto era in ordine.
L’installazione proposta quest’anno dal nostro Istituto per commemorare il Giorno della Memoria vuole essere un invito a riflettere sul processo di disumanizzazione, di cosalizzazione, cui furono soggetti i deportati nei campi di sterminio – ridotti a mere cose, a “pezzi” inanimati.
Sussunti dapprima sotto una categoria astratta – creata artificiosamente e connotata negativamente: “l’ebreo”, “lo zingaro”, “l’omosessuale”; ed ancora prima, “il malato psichico” … – i prigionieri subirono nei lager nazisti un trattamento di spogliazione totale della loro stessa umanità, secondo un preciso e studiato meccanismo: fin da subito la riduzione al silenzio; poi la sottrazione dei vestiti e degli effetti personali; la rasatura estrema (perdita dei capelli); e, infine, il tatuaggio del numero (perdita del nome proprio).
Quando abbiamo finito, ciascuno è rimasto nel suo angolo, e non abbiamo osato levare gli occhi l’uno sull’altro. Non c’è ove specchiarsi, ma il nostro aspetto ci sta dinanzi, riflesso in cento visi lividi, in cento pupazzi miserabili e sordidi. Eccoci trasformati nei fantasmi intravisti ieri sera. Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo. In un attimo, con intuizione quasi profetica, la realtà ci si è rivelata: siamo arrivati al fondo. Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c’è, e non è pensabile. Nulla più è nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga (Primo Levi, Se questo è un uomo)
I pacchetti qui posti (e, quasi, deposti) – oggetti distinguibili ormai solo per forma e numero – per un verso rimandano alle vite calpestate e degradate, alla riduzione a “pezzi” indistinguibili dei deportati di Auschwitz, di Treblinka, di Dachau, degli innumerevoli campi di sterminio che costituirono l’universo concentrazionario nazista.
Ma essi rimandano anche agli effetti personali, ai piccoli ricordi che costituiscono e corroborano la nostra identità, ultimo residuo di ciò che era casa, quel pacchetto che nella fretta della deportazione i prigionieri si erano portati con sé e che pure fu loro sottratto.
Noi sappiamo che in questo difficilmente saremo compresi, ed è bene che così sia. Ma consideri ognuno, quanto valore, quanto significato è racchiuso anche nelle più piccole nostre abitudini quotidiane, nei cento oggetti nostri che il più umile mendicante possiede: un fazzoletto, una vecchia lettera, la fotografia di una persona cara. Queste cose sono parte di noi, quasi come membra del nostro corpo […]. Si immagini ora un uomo a cui, insieme con le persone amate, vengano tolti la sua casa, le sue abitudini, e suoi abiti, tutto infine, letteralmente tutto quanto possiede: sarà un uomo vuoto, ridotto a sofferenza e bisogno, dimentico di dignità e discernimento, poiché accade facilmente, a chi ha perso tutto, di perdere se stesso; tale quindi, che si potrà a cuor leggero decidere della sua vita o morte al di fuori di ogni senso di affinità umana; nel caso più fortunato, in base ad un puro giudizio di utilità. Si comprenderà allora il duplice significato del termine ‘Campo di annientamento’. (Primo Levi, op. cit.)
I ragazzi delle Medie, invitati a portare un oggetto quotidiano e personale, verranno privati dapprima dell’oggetto stesso – che verrà impacchettato – e poi del loro nome, dal momento che i pacchetti saranno distinguibili solo da un codice numerico. Nella installazione, accanto ai pacchi che la storia ci affida, anche l’identità dei nostri ragazzi sarà temporaneamente consegnata all’oblio, in un processo di identificazione, proteso a un futuro carico di memoria.
L’installazione si trova nel corridoio all’ingresso dell’Istituto e sarà visitabile fino al 30 gennaio.
Lorenzo Pellegrinelli
Bibliotecario
Prof.ssa Gaia De Vecchi
Scuola Secondaria di I Grado