Non mi è mai capitato di scrivere un articolo su questo tema: “Quale il futuro dei nostri figli?” Mentre sui quotidiani nazionali si susseguono articoli sulla durata di una scuola superiore, mi fermo a riflettere, perché qui c’è in gioco il futuro.
Che sia un liceo o un tecnico, adducendo talora motivazioni condivisibili, ben venga il far corrispondere la maturità scolastica con la maturità anagrafica, civile e sociale. O anche solo il far corrispondere la scelta per il proprio futuro – il cosa farò nella vita? – col termine di una scuola e l’inizio di un’altra. Qui di certo ci vuole maturità. Ma di chi? La mia attenzione è rapita dalla sensazione di una corsa estenuante.
Per sgombrare il campo da equivoci, mi dico: forse non è così centrale la durata di un percorso che per certi versi non è nelle mani di singoli individui ma passa necessariamente da una collettività! E poi non è solo su questo che si vive una vita o un’esperienza: quanto rimane è la qualità o meno di essa! Questa ce la portiamo con noi, ci costruisce o demolisce.
Apro il diario dei miei pensieri, squaderno il mio immaginario e lo distendo su questi figli. Scorgo tra le righe le passioni e i rischi, e nasce un dialogo: ma lei vuole trattenere i nostri figli per sé, non li lascerà mai liberi di nascere alla vita: che imparino ad affrontarla!, lei non sa quale liberazione economica significhi il poter risparmiare un anno di un liceo.
E un’altra voce risponde: no, se si tratta di trattenere un ragazzo o di un palliativo per tamponare le ansie dei genitori, non è per niente buono. Piuttosto, se si tratta di dare centratura a una persona, è ben diverso: trovare il luogo dove una persona non si senta dispersa ma ritrovi se stessa e una bussola per il proprio cammino, questo mi pare importante!
E riprende la prima: e poi, un ragazzo che ha già trovato la sua via, che ha messo a fuoco le proprie passioni e scovato i propri talenti, è bene e giusto che corra in essi come in un copione già scritto, di un bellissimo film americano avvincente ed appassionante ricco di colpi di scena e di sicuro lieto fine. Nostro figlio si merita tutto questo!
E qui emerge un’altra voce che incalza, confrontando e allargando il cerchio dei pensieri: già, ma gli altri figli – nostri e altrui – cosa pensano di tutto questo? Cavalcando l’onda dell’altro – il nostro stesso figlio che ne pensa? Non è che guardando solamente alla realizzazione lavorativa o personale in senso stretto stiamo correndo il rischio di creare persone sole: come un bel robot che, ben programmato nel fare e nell’agire, nell’esistenza alla fine è e sarà solo, incapace com’è di rileggere e comunicare il proprio vissuto o di vedere quanto lo circonda dando voce alle emozioni che lo abitano? Persone incapaci di relazionarsi e stare con gli altri, di guardare a tutto un contesto sociale e di godere della vita… E loro poi arrivati nella stanze dei bottoni del mondo, decideranno cosa è bene per tutti gli altri!? Non c’è il rischio che creiamo tutto da noi stessi, facendo un programma ad hoc per loro…
E compare un’ultima voce ancora, per mettersi a posto la coscienza e far tacere ogni possibilità di replica delle altre voci: e costi quel che costi, per gli altri figli faremo lo stesso, se no sarebbe un’ingiustizia o anche semplicemente non avremo dato il massimo per loro, dal momento che i nostri figli sono i migliori!
Ma ormai ci siamo persi nel delirio della schiavitù, dove il gusto per la vita è soppiantato dall’eccitazione della prestazione. Dal respiro della libertà eccoci arrivati al piacere dell’idolatria dei pensieri soli, scollati dalle emozioni dell’esistenza e dal quotidiano. Stiamo ripetendo il modello inconscio che viviamo, automi disposti a tutto. Dove, come adulti, ci siamo persi?
Non ringrazierò mai abbastanza i ragazzi dei Licei per l’opportunità che mi offrono di stare con loro, di fare un tratto di strada insieme, entrando in contatto con le loro esistenze, i loro pensieri e i loro cuori! Grazie perché mi aiutate a crescere e a vedere il mondo!
Piergiacomo Zanetti, gesuita