Gli alunni della II Liceo Classico hanno messo in scena La vita è sogno, l’opera più celebre di Calderón de la Barca, drammaturgo spagnolo del XVII secolo. Uno studente, Federico Rosa, ci racconta che cosa abbia acceso nella classe questa rappresentazione, quanta passione abbiano manifestato i ragazzi nell’allestimento, ricevendo il plauso dei compagni, dei docenti e delle famiglie che hanno assistito alla “prima” del 10 dicembre nell’Auditorium della scuola.
Sempre la stessa storia. La mattina, dopo che ti sei alzato, apri il cassetto e non sai mai se prendere i sogni o i vestiti. Era metà settembre quando padre Eraldo propose a me e ad altri due miei compagni di mettere in scena “La vita è sogno” di Calderón de la Barca. Fino a qui tutto a posto. Il problema era che avremmo dovuto prepararci per metà dicembre. Ora, noi non siamo fortissimi in matematica, però a capire che avremmo avuto tre mesi di tempo ci arrivammo anche noi. Non so come mai, forse quel giorno assieme ai vestiti dal cassetto avevamo preso anche un po’ di sogni, fatto sta che accettammo di buon grado e ci mettemmo subito al lavoro. A ripensarci sembrava impossibile. A chiunque dicessi del nostro progetto commentava:”Voi siete matti” o “Non ce la farete mai” o ancora “Ma chi ve lo fa fare…”.
Leggi e taglia il copione, assegna i ruoli, suddividi in scene, monta la scena, provala, fa schifo, riprovala, già meglio; eravamo persi in tutto quel lavoro, ma sapete com’è, ci si sente bene a perdersi nella giusta direzione. Più andavamo avanti più ci divertivamo, ci univamo, capivamo che ciò che stavamo facendo non era semplicemente il mettere in scena un’opera, era qualcosa di più. Il signor Calderón de la Barca ci stava comunicando qualcosa. E quel qualcosa ciascuno l’ha capito quando i nostri prof. ci hanno fatto fare un lavoro sull’intenzione del nostro personaggio, su quello che noi comunicavamo quando eravamo sul palco. Ognuno ha tratto le sue conclusioni, ogni singolo personaggio ora era completo. Tutti quei personaggi in cerca di “attore”, ora ne avevano uno consapevole del significato di ciò che stava dicendo.
Fatto sta che tra tutto ciò arrivò il 10 dicembre, il giorno fissato per lo spettacolo, il grande giorno, il giorno che tutti noi avevamo segnato con un cerchiolino rosso sul calendario. Tre mesi di lavoro, tra fatica, risate, alti e bassi, stavano per dare i frutti in un’ora di spettacolo. Dopo mesi di pioggia stava spuntando l’arcobaleno. Quello che all’inizio sembrava un sogno, ora era realtà. E si va in scena. Io entro barcollante, mi schianto per terra mentre Lucrezia inizia il suo monologo. Il resto vabbè, il resto è andato bene. Un’ora , veloce come un treno. Alle 14 tutto finito. Ce l’avevamo fatta.
C’è una frase che dice:”I’m going to succeed because I’m crazy enough to think I can”…. be’ i matti erano appena riusciti nella loro più grande follia. Questa esperienza ci ha cambiato. Ci ha lasciato ricordi, emozioni e lezioni che difficilmente dimenticheremo. A me questa esperienza ha lasciato una frase, che ora è attaccata sulla prima pagina del mio diario: “You say I dream too big, I say you think too small”. Questo sogno si è realizzato perché noi ci siamo impegnati fino allo sfinimento, fino all’ultima goccia delle nostre possibilità, convinti che “se ci provi, potresti anche ottenere esattamente quello che vuoi; se non ci provi, be’ sicuramente non lo otterrai”.
Federico Rosa (Sigismondo)