Venerdì 15 settembre la IV e V Liceo Classico hanno visitato la Biennale Arte di Venezia, una delle più prestigiose rassegne internazionali d’arte contemporanea al mondo. Gli studenti erano accompagnati dai proff. Sgarella, Alvarez e Bevilacqua.
E’ stata un’eccellente opportunità per aprirsi al mondo dell’arte e crearsi una propria opinione.
Elisa Navarrini, IV Liceo Classico, ci racconta cosa ha imparato da questa esperienza:
Nel corso della mattinata abbiamo visitato le opere esposte all’Arsenale. Mi ha colpito particolarmente il contrasto tra l’antichità della struttura, degli inizi del XII secolo, e l’attualità delle opere che essa ospita. Mentre l’architettura dell’edificio è, infatti, in linea con la tradizione italiana, i frutti dell’ingegno di tanti artisti di nazionalità diverse si discostano notevolmente da ciò che si è soliti chiamare arte.
In effetti, al primo impatto la visione di alcune opere mi ha lasciata a bocca aperta. Inizialmente mi sono domandata come sia possibile definire opere d’arte alcuni lavori che si differenziano in modo così marcato da ciò che siamo soliti vedere nei musei e studiare nei libri d’arte. Ricordo, in particolare, l’esposizione di un cestino contenente i resti di pagine stracciate di un libro di Masaccio. Mi sono domandata come sia possibile che l’ideatore di quest’opera sia considerato un artista tanto quanto celebri pittori e scultori della nostra tradizione.
Nell’arco della mattinata però, più osservavo queste opere d’arte, aprendo la mente e il cuore, più mi accorgevo della potenza con la quale alcune di quelle creazioni suscitavano precisi sentimenti e sensazioni. Grazie alla novità della materia che si fa portatrice di ciò che l’artista vuole esprimere, alcuni messaggi di opere esposte alla Biennale mi sono rimasti impressi nella mente più di quanto non mi siano rimasti i messaggi di opere considerate più tradizionali.
Ho apprezzato, inoltre, l’opportunità di imparare in un contesto non puramente scolastico e di avere avuto l’occasione di vedere oltre ciò che si studia sui libri di testo, ampliando i miei orizzonti su un mondo così vasto e complesso come quello dell’arte.
Alessandro Tagietti, compagno di Elisa, ci riporta la sua opinione:
Trovo che l’idea di “arte” proposta dalla Biennale di Venezia sia, sotto parecchi aspetti, spiazzante e, in molti casi, disorientante.
Delle diverse opere osservate, vorrei prendere una ad esempio, sulla base della quale esprimo le mie impressioni. In un salone tante colonne di cubi colorati, impilati l’uno sull’altro, occupavano gran parte della stanza. L’immagine in sé non comunicava nulla, se non per i peculiari incastri dei cubi che, essendo vuoti, si penetravano l’un l’altro dando vita a svariate forme architettoniche.
La gente che passava aveva la possibilità di rimaneggiare gli oggetti in diversi modi secondo il proprio gusto. L’opera aveva senso solo nel momento in cui lo spettatore interagiva con essa: rimodellandone la conformazione, ognuno poteva esprimere la sua idea di “città perfetta”. Ciò che non mi ha convinto, in questo caso come in molti altri, è la totale, spesso desolante, aridità delle modalità di realizzazione artistica del messaggio che vuole dare l’opera. Molti dei lavori si limitavano a provocare forti percezioni sensoriali. Come se, all’impatto, colpissero la vista o altri sensi e poi morissero nell’istante in cui ci entravo in contatto, e non mi lasciassero nulla di bello nel cuore.
Penso che l’arte “vera”, intesa nel senso proprio del termine, debba suscitare emozioni e non sensazioni. L’emozione è qualcosa che trova nei sensi un mezzo per arrivare a uno strato più profondo, che punta dritto al nostro cuore, ricomponendolo di bellezza e nutrendolo di verità. L’arte ha spesso, infatti, capacità miracolose, prodigiose sull’autore e sullo spettatore. Io, sinceramente, non riesco a trovare nessuna di queste qualità nel freddo empirismo delle forme d’arte che propone la Biennale, nonostante non trascuri che tutte trasmettano, nella loro sterilità, un preciso messaggio.
In definitiva, colgo quest’opportunità come slancio verso nuove e aperte riflessioni in merito. Preferisco vedere quello della Biennale come un altro modo di fare arte, più che un nuovo modo di fare arte, poiché rimango convinto che l’arte, per così dire, “tradizionale” resti insostituibile, la sola in grado di soddisfare requisiti essenziali al suo scopo.